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Jean Sibelius - Valse triste

  • Immagine del redattore: Carlotta Petruccioli
    Carlotta Petruccioli
  • 21 mar
  • Tempo di lettura: 2 min

Aggiornamento: 22 mar



Jean Sibelius, insieme a Grieg, Bartók, Dvořák e i componenti del Gruppo dei Cinque, fu uno dei maggiori esponenti del nuovo modo di fare musica tipico dell’Ottocento.  Conclusosi questo piccolo ciclo di note di sala per l’evento “Voglio fare con te ciò che la primavera fa con i ciliegi”, dedicheremo uno spazio specificatamente alla nascita e allo sviluppo delle cosiddette scuole nazionali, ma per ora basti dire che, in un clima sempre più incline al nazionalismo, anche gli ambienti musicali iniziarono ad attingere a piene mani alla cultura popolare e alla musica etnica.

 

Sibelius, nello specifico, è diventato il simbolo della scuola finlandese (tanto da ricevere un vitalizio dallo Stato) che, insieme a quella norvegese di Greig, ha fortemente inciso sull’immaginario sonoro che tutti noi abbiamo del nord Europa. Con i suoi brani, come Finlandia, il Concerto per violino e le sinfonie, Sibelius ha dipinto un paesaggio estremamente caratteristico, leggermente decadente, malinconico, vagamente simile a quello russo, ma senza la grandiosità che associamo tipicamente ad esso. È intimo, freddo in una maniera stranamente accogliente, sognante ed estremamente elegante.

 

Accanto a Finlandia c’è un brano che più di tutti ha contribuito alla creazione di questo immaginario: la Valse triste.

 

Sibelius scrisse queste pagine nel 1904 come musiche di scena per il dramma La morte, scritto dal cognato Arvid Järnefelt. Il dramma ebbe decisamente poca fortuna, forse per il suo contenuto poco originale ed eccessivamente retorico, ma il nostro compositore decise di salvare dall’oblio la Valse, modificandone l’organico e ripubblicandola come brano indipendente. La scelta, più che mai azzeccata, portò il pezzo a un successo travolgente, tanto da renderlo iconico, legato indissolubilmente alla Finlandia almeno quanto il valzer Il bel Danubio blu a Vienna.

 

È, però, interessante notare che questo brano, sia nella sua collocazione originaria, sia poi come pagina a sé stante, non voleva essere infuso di sentimenti patriottici, quanto piuttosto un esempio del gusto per il simbolismo che accompagnò Sibelius nella seconda parte della sua vita.

 

Ma, dunque, cosa ci trasmette la Valse, spogliata della sovrastruttura nazionalistica aggiuntasi successivamente?

 

Il dramma di Järnefelt narrava la storia di un giovane uomo, prima ritratto al capezzale della madre morente, poi nel suo rapporto con la moglie e la matrigna di lei, poi intriso di spiritualismo nell’affrontare il folle gesto della donna, che appicca un incendio per uccidere la figliastra, solo per rimanerne vittima lei stessa. La Valse triste accompagna il delirio della madre nei suoi ultimi attimi di vita, momento in cui sogna di partecipare a un ballo, durante il quale ballerà con uno sconosciuto che si rivelerà essere la morte stessa. L’introduzione esitante, cromatica, sommessa sembra quasi rappresentare il lento venire a fuoco della sala da ballo. Dopo poco una melodia dolce, tipicamente da valzer, cattura l’attenzione dell’ascoltatore. La musica sembra poi animarsi, prendere vita grazie a un tema più caratterizzato, con sonorità più esotiche, raggiungendo il momento di massima tensione drammatica per poi, lentamente, spegnersi.

 

Il sogno, il delirio, la malinconia, la follia, la decadenza di lussuosi balli, il timore della morte: sono questi gli ingredienti per il più grande successo tra il grande pubblico di Sibelius.

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