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Béla Bartók - Danze popolari rumene per piccola orchestra

  • Immagine del redattore: Carlotta Petruccioli
    Carlotta Petruccioli
  • 22 mar
  • Tempo di lettura: 4 min


Nell’articolo su Sibelius abbiamo introdotto il tema delle scuole nazionali. Ebbene, il simbolo di questa nuova temperie musicale fu Bela Bartók che, nel corso della sua vita, si dedicò allo studio e alla rielaborazione di materiali musicali popolari. Da un lato la necessità di attingere al materiale tradizionale ha uno scopo puramente tecnico-musicale, dall’altro rivela una nuova modalità di concepire gli spazi culturali, la consapevolezza che sottolineare la dignità delle diverse caratteristiche di ogni popolo possa essere un modo efficace per ricomporre il complicato e delicato puzzle etnico dell’Europa a cavallo tra Otto e Novecento.

 

Per quanto riguarda la prima motivazione, illuminanti sono le parole di Bartók a proposito della ricerca e delle registrazioni di melodie popolari effettuate entrambe nelle campagne di Ungheria, Romania, Slovacchia e perfino dell’Anatolia:

 

«Lo studio di questa musica contadina era per me di decisiva importanza, perché esso mi ha reso possibile la liberazione dalla tirannia dei sistemi maggiore e minore fino allora in vigore. Infatti la più gran parte e la più pregevole del materiale raccolto si basava sugli antichi modi ecclesiastici o greci o anche su scale più primitive... Mi resi conto allora che i modi antichi ed ormai fuori uso nella nostra musica d'autore non hanno perduto nulla della loro vitalità. Il loro reimpiego ha permesso combinazioni armoniche di nuovo tipo. L'impiego siffatto della scala diatonica ha condotto alla liberazione dal rigido esclusivismo delle scale maggiore e minore ed ebbe per ultima conseguenza la possibilità di impiegare ormai liberamente e indipendentemente tutti e dodici i suoni della scala cromatica».

 

A proposito, invece, della motivazione ideologica, Bartók evidenziò la sua intenzione di servire la causa «della fraternità dei popoli, della loro fratellanza davanti e contro ogni guerra, ogni conflitto».

 

L’utilizzo di materiale folkloristico all’interno delle opere del compositore ungherese (nacque a Nagyszentmiklós, all’epoca appartenente all’Ungheria, ma oggi in territorio rumeno con il nome  di Sânnicolau Mare) avvenne per gradi, a cominciare dalle opere per pianoforte, per poi arrivare al completo assorbimento e alla perfetta appropriazione personale delle sonorità popolari da parte di Bartók, tanto da permetterne l’inserimento elegante e senza sforzo anche in brani di musica “pura”, come nel Concerto per orchestra o nel Divertimento per archi.

 

Le Romàn népi tàncok (‘Danze popolari rumene’) per piccola orchestra (1917) segnano proprio il momento di passaggio tra la prima e la seconda fase di questo processo.

 Per queste sette danze, il compositore sceglie un organico che vuole ricordare quello delle orchestrine da paese, in modo da mantenere il sapore folkloristico, senza però avere la possibilità di utilizzare gli strumenti tradizionali per cui il materiale originale era stato pensato. È, dunque, grazie a un attentissimo studio delle sonorità che Bartók riesce a fondere due mondi apparentemente inconciliabili (quello della musica popolare e quello della musica colta), modernizzando l’uno senza, però, tradirne lo spirito e dando nuova linfa all’altro, senza scadere nel volgare e nel macchiettistico.

Come scrive Sergio Sablich: «Un esempio lampante è già nel primo brano. L'esposizione della melodia da parte di clarinetti e primi violini all'unisono genera un effetto sonoro misto, insieme popolare e colto; l'asimmetria ritmica del canto è compensata dall'ostinato dell'accompagnamento, che introduce un elemento normativo per così dire della tradizione evidenziando però nello stesso tempo la freschezza e la naturalezza della vitalità popolare: irregolare solo perché dotata di altre regole. Ed è questo rispecchiamento dei due mondi a rappresentare l'aspetto creativo della composizione».

 

Un altro esempio del rispetto dimostrato da Bartók per il patrimonio culturale da cui prende ispirazione è il mantenimento da parte del compositore dei titoli originali delle singole danze, che ne sottolineano l’iniziale destinazione, sempre accompagnati dall’indicazione geografica di provenienza.

Ed ecco che, alle orecchie di ascoltatori moderni, si presentano sonorità e melodie che, senza Bartók, avremmo praticamente nessuna speranza di poter ascoltare, arricchite da indicazioni che ci permettono di figurarci vividamente il contesto sociale in cui, se fossimo vissuti un secolo fa, avremmo potuto incontrarle. La Danza del bastone proviene da Mezözabad, nel distretto di Maros-Torda; la Danza della fascia e la Danza sul posto sono state registrate a Egres, distretto di Tarontàl; la Danza del corno è stata ascoltata a Bisztra, distretto di Torda-Aranyos. La Polka rumena è stata raccolta a Belényes, distretto di Binar, mentre le ultime due danze (Passettino), di Belényes e Nyàgra, nella zona di Torda-Aranyos, concludono la silloge in maniera fastosa e brillante.


Per concludere questo articolo e questo piccolo ciclo di note di sala, una considerazione generale sul programma dell'evento "Voglio fare con te ciò che la primavera fa con i ciliegi", programma che definirei a catena: il primo brano, la Sinfonia di Schubert, è il frutto dello scontro di forti passioni, onirica, a tratti vicina al delirio e al più profondo pessimismo; segue la Valse, il trionfo del sogno e della follia, simbolista e segnata in partenza dal tema della morte, ma che ha ritrovato, grazie al nazionalismo tipico del periodo, nuova vita e si è assunta il ruolo di simbolo musicale della Finlandia, fondamento dell'immaginario musicale ad essa legato; Bartók e le sue Danze, infine, sono l'emblema delle scuole nazionali, uno dei migliori esempi di una nuova sensibilità musicale, questa volta, a differenza della Valse, consapevolmente legate ad essa.


Ma cosa tiene saldamente insieme questi tre anelli?


La danza, evidentissima in Sibelius e in Bartók, ma che imbibisce anche la schubertiana "Incompiuta", a partire dal Ländler che costituisce il secondo tema del primo movimento.

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